sabato 2 luglio 2016

8 Ora del tè - La ragazza di Jasper



Nuova fidanzata per Jasper, nuova cavia per gli esperimenti di Jasper e Haru. Ciò che non cambiava mai era l’atteggiamento di Jasper che presentava la sua fidanzata come un semplice modo per tener buono il suo – come amava chiamarlo –  “scintillante membro”. 
Jasper aveva l’abitudine, ormai da molto tempo, di portare in mezzo ai suoi amici ragazze che erano più impresentabili di lui. Quasi sempre di due tipi: bamboline carine, stupide e vuote al limite del verosimile o, come le definiva lui, “troie disadattate”. E questo perché le ragazze “normali” se le era giocate da tempo.
Ma qualcosa in questa ragazza sembrava diverso, o per lo meno, ciò che pareva diverso era una sfumatura nell’atteggiamento di Jasper nei suoi confronti. Anche il suo becero maschilismo sembrava quasi un ricordo. La descriveva addirittura come “simpatica” e più volte disse, quasi imbarazzato, E poi, come dire… mi piace davvero scoparla. Questa tenera ammissione fece esplodere nella comitiva dell’ora del tè un tripudio di cuoricini e giubilo al grido di: Jasper è innamorato! Viva l’amore!

Si chiamava Maia (inutile dire che fu impossibile, nonostante il sentimento, che Jasper si esimesse dal creare facili giochi di parole utilizzando il nome della fidanzata tipo “Maia-la donna più bella del nostro gruppo” oppure “Tu siediti lì, Maia-la facciamo sedere qua” ecc.) e aveva un problema di relazione coi genitori molto pesante, disse un giorno. Ma un altro giorno, mentre raccontava uno dei suoi sogni lucidi più ricorrenti, disse invece che, a dire il vero, il suo problema coi genitori era inesistente.
Cos’era cambiato?
Non temeva più sua madre né suo padre. Cosa potevano farle oltre che tenerla reclusa come già facevano? Non erano violenti. I pochi schiaffi presi dalla madre non facevano altro che incattivirla, quelli del padre erano ridicoli in tutto. Fuori luogo, sgraziati e spesso seguiti da pentimenti teatrali. Un vomito. Non provava nulla per lui.
Ma il fatto era che loro la tenevano schiava per non aver problemi. Non come certi genitori che obbligano i figli a vivere secondo le loro regole, loro non volevano semplicemente che vivesse. Questa era la visione di Maia nei confronti dei propri genitori.
Visione che si rivelò in seguito esagerata ma non cambiò comunque il nulla che lei provava e vedeva nelle loro esistenze. Un nulla che non la spaventò mai. Lei, seppur ne condividesse sangue e geni, non apparteneva alla loro razza. Per loro la vita è una regola priva di emozione, di forza, ma con tantissime piccole gioie quotidiane forzate e costruite su altre regole.
In questo modo, grazie alla sostanza, vagava nei suoi sogni da un’esperienza infantile ad un’altra. Non disse mai a nessuno che i sogni nascevano in altri modi. Quelli più comuni: difficoltà a muoversi quando dovette scappare dagli sbirri insieme a Jasper, sbirri che erano ovviamente mostruosi e la terrorizzavano; amori infantili e scene d’abbandono; sesso con più uomini e molto più grandi di lei mentre la madre la guarda con la faccia seria alternata ad un grido muto mentre suo padre guarda la tv. Non voleva ammettere che a lei interessava solo ed esclusivamente quella sofferenza che i genitori avevano, come in molte famiglie, nascosto accuratamente agli sguardi dei vicini. Perché loro dovevano sembrare normali, perché suo padre si prodigava sempre in carezze nei confronti suoi e di sua madre. Dio che vomito. Lei era obbligata, pensava, ma sua madre come aveva potuto credere a quell’uomo finto? Ma credeva veramente in quell’amore o le stava davvero bene così? Forse semplicemente i suoi genitori sono persone mediocri cresciute in un ambiente mediocre e a loro sta davvero bene tutto così. No, troppe domande per riuscire davvero a non interessarsi a loro.
In questo modo Maia prese a raccontare di sogni lucidi che chissà da dove erano davvero cominciati ma che finivano sempre, pilotati da lei, in situazioni irrisolte della sua infanzia (Jasper e Sara glielo fecero notare più volte, ovviamente Jasper deridendola per la banalità del suo complesso di Elettra mentre Sara scusandosi anche solo dell’invadenza della sua interpretazione). E quindi il sogno di ieri era quello in cui la madre la colse a letto col suo professore di educazione fisica mentre in quello precedente il padre dovette andare a prenderla in questura perché l’avevano beccata con dell’erba. In tutte queste situazioni Maia imbastiva su dei monologhi che andavano in qualche modo a darle delle rivincite in situazioni in cui a parer suo aveva sofferto pesanti umiliazioni dai genitori.
Sembrava però chiaro che le reazioni dei genitori fossero anche piuttosto contenute e dignitose messe in relazione con la descrizione che Maia faceva di loro. Probabilmente, pensavano molti dei presenti all’ora del tè, questa ragazza doveva ancora uscire dai fumi neri della sua età lirica.

*

Da un giorno all’altro Maia ammutolì.
Parlava pochissimo con Jasper con cui si vedeva sempre meno senza dare spiegazioni. Spiegazioni che Jasper avrebbe voluto ma che la sua virilità non gli permetteva di chiedere anche perché, Fino a che me la dà senza rompere il cazzo bene, sennò quella troia sballata può tornare a fare in culo insieme al resto del mondo.
Durante le ore del tè non parlava mai. Anche quando sollecitata. Al massimo bisbigliava un, E’ un periodo in cui non riesco a dare un’interpretazione ai miei sogni. Forse non li comando più o mi ritrovo lucida dove non lucidità non c’è.
Forse devi solo osservare e forse un po’ di mutismo e osservazione fa sempre bene a tutti, disse il professore.
Jasper ruttò.

*

Ma in quei giorni, nei sogni provocati dalla sostanza, veniva immediatamente catapultata in quella infanzia che con tanta forza aveva richiamato nei precedenti e che ora veniva allo scoperto da sola. Ma c’era qualcosa di diverso.

Il suo punto di vista era assente.

Non era più lei a voler richiamare il giorno delle umiliazioni con l’esacerbazione delle sue sofferenze infantili, la sua catarsi effimera e inconcludente, ma ci si ritrovava dentro e vi si muoveva con prudenza. Osservava quelle carezze del padre, lo vedeva poi al lavoro. Non aveva mai immaginato quanto fosse duro e talvolta umiliante eppure aveva tutti gli indizi a portata di mano ma era troppo presa dai fantasmi gotici dei suoi ormoni.  Ripensava a quelle premure della madre e all’eccitazione nell’indossare quelle nuove calze velate che sapeva piacessero molto al marito. Li vide amoreggiare. È vero, era raro. È vero, non erano mai state persone passionali ma quando facevano l’amore lo facevano come due teneri bambini innamorati. E Maia piangeva spesso durante questi sogni e non riusciva a pilotarli (ma forse non voleva neanche). Ci si muoveva semplicemente come una persona conscia di vivere un sogno. Il risveglio la lasciava interdetta. Interdetta come ora.
Jasper le dava fastidio come i suoi vaneggiamenti giovanili e pensava seriamente di ricucire il rapporto coi genitori e non usare più quella sostanza.

Quella sera non volle andare via insieme a Jasper come faceva di solito, E come vorresti tornare a casa? Non fare l’autostop che ti scambiano per una prostituta.
Perché non puttana? Chiese Maia con lo sguardo assonnato a Jasper, Scusa?
Perché hai detto prostituta e non puttana? Ripeté ancora la ragazza.
Perché sei la mia bambolina carina ma hai sempre cosce e tette di fuori, io ho la testa mezza rasata quindi a quest’ora chi vede me pensa “guarda quel tossico del cazzo che fa autostop”, mentre chi vede te pensa “guarda quella troia che fa autostop”. Cos’hai giovane Xena hai la zanzarine che ti ballano nel cervello? Chiese Jasper con tono affettuoso, No ho uno scarafaggio che parla troppo davanti a me.
Jasper fu colto di sorpresa dal tono pieno di disprezzo di quella che doveva essere la sua fidanzata. Aprì la porta per uscire enunciando prima le seguenti parole, Vedi di darti una calmata e di non far troppo la troia che non mi pare il caso, ok?

*

Jasper camminava in mezzo alla neve che era caduta mentre erano tutti riuniti a casa di Haru, riunione di cui non si era neanche accorto. Fumava lo spinello del ritorno grattandosi la metà della testa rasata ripetendosi, “non far troppo la troia che non mi pare il caso”?! “non far troppo la troia che non mi pare il caso”!!!! “…che non mi pare il caso”???!!! Ma da dove cazzo mi è uscita una frase così da sfigato?
Era nervoso. Si stuzzicava continuamente le pellicine e unghie delle dita martoriate dai suoi moti vulcanici mentre gli montava una rabbia che non riusciva a contenere. Prendeva il telefono e continuava a scrivere messaggi che cancellava prima di mandare del tipo: Dobbiamo parlare; Che cazzo c’hai; Stai prendendo altri cazzi… giusto per saperlo…; e simili.
Il bimbo Jasper quella notte avrebbe faticato a dormire, ma per fortuna che c’è la droga, quella vera, pensò.

Nessun commento:

Posta un commento