venerdì 26 agosto 2016

10 I sogni di Haru e Jasper




La sostanza che Haru e Jasper hanno creato è stata diverse volte ricalibrata per cercare di renderla più stabile e gestibile. Questa ottimizzazione è cessata nel momento in cui i due ragazzi si son resi conto che il problema principale non era risolvibile: la gestione dell’inconscio. Come giustamente denunciato dal Lord, ai primi utilizzi, la sensazione è tutt’altro che piacevole in quanto ci si ritrova lucidi in un ambiente appannaggio dell’inconscio. Tutti i lati più reconditi e quindi spesso più dolorosi della nostra esistenza emergono. Le paranoie prendono vita; ma, invece che viverle attraverso la patina di confusione che un normale sogno si porta dietro, siamo lucidissimi.
Dopo un po’ si impara qualche trucco. Ognuno ha il suo. Haru vuole capire i suoi mostri, non ne ha paura e non ha mai creduto che la sostanza gli regalasse il paradiso in terra come fa Jasper che ha semplicemente affogato i suoi mostri mescolando la sostanza con altre droghe o trovando dei diversivi al suo inconscio, il professore ha trovato grosso giovamento utilizzando pratiche di rilassamento e meditazione yoga, il Lord invece è stato l’unico a denunciare gli effetti negativi della sostanza pur ammettendo il fascino delle sue potenzialità. Il Lord è come un topo impaurito ma affamato. Non ha vergogna della sua natura e non ha moti d’orgoglio che gli impediscano di chiedere aiuto o nascondersi. Chissà quale sarà stato il suo stratagemma e se ne avrà mai trovato uno. La cosa che davvero sembrava comune a tutti è il non parlare delle proprie esperienze (o essere molto evasivi) o mentire a proposito. A questa ipotesi arrivò Haru (non Jasper, lui non si è mai interessato a un problema non suo) dopo molte discussioni col professore e in certi casi addirittura col Lord. È un po’ come il sesso: spesso chi è all’inizio tende a non parlarne troppo o a esagerare o mentire. La sostanza promette una sorta di paradiso in terra e averne paura vuol dire ammettere di avere troppe debolezze e scheletri nell’armadio.
Quando si comincia a comprendere il funzionamento della situazione in cui ci si ritrova, quando si smette di vivere incubi lucidi e si riesce a interagire meglio ci si rende conto di quanto sia difficile se non impossibile controllare ciò che nel sogno è fuori da noi, ciò che è di contorno, lo scenario, la scenografia del nostro sogno. Ci si concentra sempre e solo su se stessi. Dopo un po’ risulterà sempre più facile controllare il corpo; volare, saltare o addirittura liquefarsi e ricomporsi. Sarà semplice fare mangiate luculliane, usare razzi spaziali e soprattutto far sesso ma sempre cercando di non perdersi nello scenario che ci fa da contorno. L’inconscio infatti tende a renderlo tanto confuso da farci perdere lucidità, controllo e quindi serenità. Quindi, prima lezione del novello onironauta è NON GUARDATI ATTORNO.


*

Haru

Ma Haru ha sempre trovato il suo intimo molto triste e desolato (oltre che banale) e per questo motivo più di una volta ha provato a guardarsi intorno. Le creazioni dell’inconscio facevano paura anche a lui, ma non troppo e a volte riusciva a fermarle: un altro paesaggio desolato, il nulla. Foschia e poco più.   

Il mondo dei sogni di Haru è semplice. Stereotipato e di contorno. Una cartolina.
Dopo i primi esperimenti si accorse che nei suoi sogni lucidi il pensiero era totalmente occupato dalla madre morente. Una madre con cui non riusciva a parlare. Sconfortante.  
Passeggiava con lei per immensi campi, sopra scogliere a strapiombo sul mare, o sulla spiaggia. Si rendeva conto che doveva lasciarla andare ma non ci riusciva. Lo sguardo della donna era eloquente e Haru non riusciva a far altro che tenerla per mano e concentrarsi per evitare che l’inconscio prendesse il sopravvento allontanandola e dovendo poi tornare a concentrarsi per ritrovare nuovamente la madre nel caos dell’inconscio (le lezioni da preparare, la sostanza e le difficoltà della preparazione, il comportamento sempre più intollerabile di Jasper, il corpo di Tamun, i discorsi del professore, il Lord…). Aveva capito che chiederle risposte era inutile perché lui non le avrebbe comprese. La voce di sua madre arrivava da troppo lontano. Sembrava di ascoltare una persona che parla sottacqua. Non la comprendeva e non voleva inquietarsi né inquietarla.
Inquietarla???
Ecco, pensare che quel sogno potesse davvero inquietarsi lo trovava davvero un pensiero infantile oltre che ingenuo.
Poi, un giorno, ebbe un’idea. Prima di coricarsi bagnò le labbra della madre con la stessa sostanza che stava per assumere lui e quel velo di incomunicabilità sparì. Era lucido come prima, il paesaggio continuava a essere una trappola da evitare ma finalmente capiva la sue parole; poche a dir il vero perché nonostante la lucidità il parlare e soprattutto l’ascoltare non era affare semplice. Ma “viveva” sua madre. E non era solo per quelle poche frasi che riuscivano effettivamente a scambiarsi ma per il riuscire a stare abbracciati senza disagio, potersi sorridere e, quando ci riusciva, parlare di quelle cose che solo madre e figlio in intimità possono dirsi. Scorpacciate di conforto e dolce malinconia.

Haru, basito da questa nuova situazione, era comunque pieno di dubbi: C’è una connessione col fatto che io le abbia dato la sostanza o è un caso dovuto al fatto che sto imparando a usarla? Il cervello di mia madre ha un’attività paragonabile a quella di una persona sana… e quindi? Ora capisco mia madre perché anche lei è lucida nel suo sogno? È mia madre quella con cui parlo nei miei sogni? Ma che assurdità è? Di conseguenza ci stiamo sognando contemporaneamente? Bah... Il solito problema di capire cosa sia reale da ciò che non lo è.
L’ipotesi della suggestione risultava sempre la più credibile.
In ogni caso Haru scoprì in seguito che la sua risposta non poteva essere trovata nei suoi sogni, nel rapporto con sua madre. Qualsiasi interazione con lei poteva essere una sua costruzione mentale, per molti versi infatti madre e figlio non sono altro che una regione dei rispettivi animi, luoghi dei propri pensieri. Fu facile trovare la soluzione alle sue domande, ma indagando i sogni degli altri. Tanti piccoli indizi che crearono la più semplice delle risposte. Come quelle poche frasi che spesso la madre ripeteva ad Haru nei sogni: Guardati intorno! Un invito materno, deciso, accogliente e amorevole, ma sfigurato da una forte preoccupazione che le attraversava il viso e il collo e che spesso sfociava in quell’altra frase pronunciata con terrore, a denti stretti, e col viso pieno di lacrime che lo faceva svegliare di colpo terrorizzato: Ci sta consumando tutti!
Chi!!? Cosa!!? Mamma!

*
 
Jasper

Servì poca pratica. Bastava così poco a tutte quelle cavie che lui e Haru si erano scelti per imparare a utilizzare la sostanza figuriamoci a un individuo così avvezzo all’utilizzo delle sue facoltà cerebrali quanto poco sarebbe bastato per fare di quei sogni il parco giochi per adulti che tanto si era immaginato.
E così effettivamente fu.
Non fece come Haru che gli sembrava intimidito e pauroso anche in questa circostanza. Né come il professore con le sue ridicole pratiche yoga di concentrazione per migliorare il controllo dei sogni. Lui non ne aveva bisogno (forse anche per le svariate esperienze con gli allucinogeni). Sentiva di controllare quel mondo, di averlo in pugno, di tenerlo per le palle, disse più volte.
In ogni caso essendo il co-inventore della sostanza insieme ad Haru, essendo l’essere umano più intelligente della zona (sempre insieme al nemico/amico Haru) ed essendo soprattutto il più disinibito, destrutturato, aperto, coraggioso e cazzuto essere umano di questo mondo, era convinto di dover incarnare il ruolo del supereroe, del maestro, master, guru, dio, di questo nuovo mondo che si parava dinnanzi. Era convinto di possedere un’alchimia di elementi rarissima: un secchione, super intelligente che riesce ad essere allo stesso tempo una persona brillante, sagace, invidiato da maschi e adorato dal mondo femminile. Tutti quelli che lo denigravano semplicemente si difendevano perché lui li trattava con evidente disprezzo. Tutto ciò e molto di più pensava Jasper di sé (oh quanti gli piaceva pensare a sé!), anche se non sempre i risultati erano così mirabolanti.
Così, la prima volta che si trovò lucido nei suoi sogni si concentrò. Capì immediatamente la difficoltà: questo posto è creato dall’inconscio e anche da lucidi è difficile averne un vero controllo. Motivo per cui molti sono rimasti terrorizzati da quest’esperienza. Il paesaggio e gli oggetti intorno a noi cambiano continuamente e cercare di “fissarli” li fa cambiare ancora più velocemente. Tutta questa apparente impotenza fa nascere un’ansia che tramuterà il sogno in un incubo in cui la lucidità altro non farà che dargli contorni ancora più terrificanti. Anche le sensazioni di pesantezza corporea non sparivano subito. Trabocchetti, fantasmi per piccole cavie come voi, disse Jasper agli invitati all’ora del tè da Haru in cui le “cavie” raccontavano le loro esperienze. Pesantezza corporea? Io volo e ho la forza di un supereroe nei miei sogni. Lo scenario cambia? Non importa, quello scenario è finto, ciò che non cambia è nella mia testa, aggiungeva sprezzante Jasper toccandosi il pacco e sogghignando.

Grazie a questi presupposti, gli ci volle poco per padroneggiare questi sogni. È vero, lo scenario cambiava continuamente; è vero, anche lui era a volte preso da moti angosciosi, ma Jasper non era minimamente impaurito. E così, se mentre si trovava a far sesso con tre donne contemporaneamente da una vagina usciva fuori un mostro che gli strappava il membro a morsi, o se una delle sue partner sessuali si trasformava in sua nonna, lui non faceva altro che imporsi un sorriso arrogante e tornare a controllare il sogno assecondando l’inconscio che, come ben sapeva, non riesce a rimanere fermo per molto.
Vogliamo vedere chi si stufa per primo? Pensi che io possa davvero scandalizzarmi per così poco? Pensi davvero che io possa scandalizzarmi!?? Si ripeteva prima di assumere la sostanza o durante il sogno stesso. E così il giovane Jasper poteva finalmente farsi un baffo delle regole umane, della decenza, delle piccole e stupide paure del suo inconscio e si scopava la nonna, e poi un ospizio intero e, immediatamente dopo, questa situazione diventava eccitante perché si ricordava di quella signora attempata, amica della madre, che tanto lo eccitava da piccolo.
L’inconscio è come un cane, basta allungargli un premio e fa ciò che vuoi, lo porti dove vuoi, si ripeteva a mo’ di mantra Jasper. Quei mostri che gli avevano strappato il membro venivano ora estirpati dai corpi delle sue ormai infinite amanti con le sue mani. Li guardava e gridava loro in faccia riuscendo ad essere più mostruoso dei demoni del suo inconscio.
Lo scenario attorno cambiava senza che la sua sagoma e le sue azioni, le sue volontà ne fossero minimamente toccate. A volte tornava a osservarlo, a guardarsi intorno; con aria di sfida, anzi con disinteresse: indecifrabile, montagne di simboli, immagini, colori, forme. Lo guardava senza esserne avvolto. Come a guardare una tv guasta, uno schermo a cristalli liquidi impazziti. Non ne aveva paura e non gli dava più capogiri. Se una fiamma veniva a ruggire sbavando con denti marci e incandescenti davanti alla sua faccia Jasper, con alterigia, se ne burlava. Allungava un dito e simulava dolore. Lo toccava per più tempo, sentiva effettivamente un dolore lancinante – mille frecce infuocate nel suo corpo e successiva e ovvia visione di San Sebastiano – che però cessava immediatamente. Aveva imparato a controllarlo e questa sensazione di potere era di gran lunga la sua preferita: l’inconscio dura poco.
Ora voleva costruire il suo ambiente, la sua scenografia. Sentiva di poterlo fare.

Molto spesso si immaginava di camminare in una specie di nuvola piatta (oggetti grossi, comodi e con colori neutri sono più facili da controllare) che poteva somigliare a un enorme letto ricoperto da donne di tutti tipi che lo guardavano mugolanti di piacere. Intervallava le sue prestazioni sessuali con avventure violente contro i nemici che l’inconscio gli poneva di fronte: una paranoia, un troll o una tigre. Vestito da una semplice mutanda, con un braccio trasformabile in qualsiasi arma volesse e un missile nucleare tra le gambe. Nessuno scudo, non ne aveva bisogno. Tutto ciò che osava sfidarlo sarebbe stato inevitabilmente sconfitto.
La cosa che più lo infastidiva era di non riuscire ad avere orgasmi. Ma si rendeva conto che il godimento sessuale c’era comunque e che l’orgasmo non arrivava per le continue distrazioni o perché forse ne esisteva un tipo diverso e più “alto” in questo mondo e, in questo caso, lui sarebbe sicuramente riuscito a raggiungerlo. Sarebbe stata solo questione di tempo. L’ennesimo mostro da sconfiggere, solo un po’ più forte, anzi, forse solo nascosto meglio; perché ormai si rendeva conto che il vero mostro era lui e quelli prodotti dall’inconscio per mettergli i bastoni tra le ruote altro non erano che piccoli escamotage privi una vera forza. Li vedeva (questi mostri, queste difficoltà) come pulcini di fronte a quel diavolo che era lui. Vedeva le sue vittime, i suoi conflitti cedere all’inattaccabilità del suo potere, il suo potere non aveva difatti limiti né confini. Questo pensiero lo eccitava fisicamente forse più delle donne stesse.

*

Serviva distrarsi.
Pensò di aggirare il problema, di scovare il mostro e scoprirlo pulcino.
Durante un sogno stava lottando contro l’esercito dei Detrattori (lo aveva chiamato così perché era composto da tutte le persone che in questa vita osavano o avevano osato metterglisi contro a cui aveva dato nel sogno dei super poteri per combattere contro di lui) ma continuava anche a far sesso con un numero imprecisato e imprecisabile di ragazzine avvenenti mentre una parte del suo fantastico cervello portava avanti la battaglia e la costruzione del suo impero.
Lo stava facendo apposta. Lo sapeva. Voleva perdere o essere lì lì per perdere, ancora non lo sapeva bene. E ci stava riuscendo e non sapeva neanche il perché. Sentiva i suoi nemici diventare sempre più insostenibili e decise che era arrivato il momento di ribellarsi: si sarebbe concentrato e con un solo grido avrebbe polverizzato l’esercito dei Detrattori; di colpo lo sentì: l’orgasmo. Lontano. E appena colto, scoperto, si volatilizzò. Jasper gridò dalla gioia, lo aveva trovato! ma, constatando che si era dissolto si infuriò: Torna immediatamente qui! Decise quindi di vendicarsi su quelle ragazzine che non riuscivano neanche a compiere il loro dovere ma d’improvviso tutto scomparve e si trovò di fronte quello che in seguito chiamò “il Cacciatore” con la canna del fucile piantata sulla sua fronte.
Bum! Sveglio.
Ma non è cosa da Jasper demoralizzarsi, anzi era contento di averlo trovato e pensava anche di aver capito come ritrovarlo. Doveva umiliarsi essere in difficoltà e quindi umiliare a sua volta, vendicarsi o una cosa del genere. Qualcosa di non strettamente sessuale.
E infatti un giorno, ripetendo la solita battaglia contro l’esercito dei Detrattori ci riuscì. Dilaniato dai colpi dei suoi nemici che lo stavano finendo, che laceravano le sue carni, mentre le ragazzine lo schernivano lo percepì nuovamente. L’orgasmo. Lontano. Questa volta non si fece cogliere impreparato. Non trasalì. Ma rimase concentrato nel suo dolore e nell’imminente vendetta, senza far nulla. Fu l’orgasmo a trovarlo nuovamente mentre vide una figura avvicinarsi per poi scappare proprio durante il suo orgasmo.
Una vertigine e una sensazione tanto forte da dargli la sensazione di poter fagocitare l’universo intero.
Dove credi di scappare?
Si apre una piccola botola che dà su un corridoio poco illuminato che Jasper percorre. Lo sente scappare, E’ il Cacciatore! Chi è il Cacciatore? Eccolo. C’è un muro non puoi scappare! Sei un cacciatore con tanto di cappellino con visiera in pelle e fucile in spalle, ma sei minuscolo! disse prendendolo in mano e stritolandolo come si fa con una zanzara. Il sangue dalle sue mani sgorgava all’unisono col suo sperma. Pensò che Dio non fosse altro che una sorta di orgasmo continuo e incosciente. Questo mondo è infinito e privo di coscienza, si disse, e qui e ora ho imparato a essere Dio!

*

Dopo questo evento Jasper imparò a concentrarsi sui dettagli senza che l’inconscio gli facesse perdere il controllo. Non doveva più ricostruire il suo ambiente, il contesto dei suoi sogni, il contorno ad ogni sogno. Appena si “svegliava” in un sogno, il solo pensarlo gli faceva trovare il suo impero. Gli orgasmi continuarono a essere un “lavoro difficile” a cui decise di non impegnarsi più di tanto. Il Cacciatore gli dava ancora fastidio ma per il solo fatto che uccidendolo era convinto di aver eliminato quella strana e irritante presenza dal suo inconscio.
A parte questo piccolo intoppo ogni sfidante periva tra le sue mani trasformandosi in sabbia che Jasper godeva a far cadere. Poco per volta, imparando a controllare e manipolare a suo piacimento la scenografia, quello che dapprima appariva come un semplice ed enorme letto diventò una camera da letto attrezzatissima di ogni comfort immaginabile e non. Poi un parco con fontane piscine, aree relax, aerei e veicoli ultra veloci comandabili telepaticamente, poi tutto ciò diventò l’enorme terrazzo del suo palazzo, dal suo castello, del suo regno. Ogni suo sogno in breve si trasformava nel suo impero, quel mondo in cui lui era più di un re, più di un dio. Tutto era preorganizzato dal suo inesauribile ed eccezionale cervello e le fondamenta di questo mondo erano tutte quelle vittorie, tutti quei mostri sconfitti, tutta quella sabbia. Sabbia su cui, verso la fine del sogno, il suo regno inesorabilmente scivolava, crollava. Molte volte si trovava in piedi sulla torre più alta del suo castello con le braccia incrociate ad assistere al crollo del suo mondo, a scivolare verso il basso, come su una tavola da snowboard. Una lenta, rovinosa e fragorosa deriva che lui viveva senza alcuna remora, Domani andrà ancora meglio, imparerò a controllarlo sempre di più, pensava mentre scivolava e mentre ormai si stava svegliando. Conscio del fatto di aver già imparato molto e di vivere delle avventure fantastiche con le stesse sensazioni della vita reale. Troppe, troppe vittorie per poter davvero avere paure. Come un bambino al Luna Park. Una vaga, indefinibile ma inebriante sensazione di potere. Senza alcuna frustrazione o paura. Perennemente eccitato.