sabato 2 luglio 2016

9 Ora del tè - La ragazza di Haru



La ragazza di Haru

Ancora fermo a guardarla, preso dai pensieri, pensieri alti, lirici, romantici… lussuriosi? Nel mezzo di quei pensieri capita anche al giovane Haru di perdersi tra le sue bronzee cosce?
Queste le parole che Jasper stava bisbigliando all’orecchio di Haru, Finiscila, depravato! Disse Haru allontanando con un movimento del gomito Jasper, Dai, mi dici se c’ho azzeccato almeno un po’? mi confermi che tra i miei tanti poteri c’è quello di poter leggere il pensiero?
Se ti concentrassi di più su quelli che sono i tuoi tanti ed evidenti limiti saresti una persona speciale, tra l’altro, notizie di Maia? Chiese inacidito Haru che quando voleva sapeva essere anche lui cattivo. Eppure era vero: ancora fermo a guardarla…

Si chiamava Tamun, la ragazza di origini indiane di cui si era invaghito Haru e che si era unita al gruppo del tè. È la classica ragazza timida che si chiede spesso come possa essere finita in mezzo a questo gruppo di pazzi. Ha dannatamente paura degli eccessi ed è piuttosto nauseata dai comportamenti di Jasper. Forse si è invaghita di Haru molto di più di quanto non le sembri. 

Quel lungo naso dritto. Leggermente grosso, quasi da uomo. Quante volte Haru ha pensato somigliasse al padre molto più che alla madre (genitori che non ha mai conosciuto). Una parte di ciò che Haru imparerà sarà grazie al fatto di aver capito lei, penserà in futuro.
Il modo in cui lo affascinava e spaventava. In pratica, il suo unico difetto, perché era davvero l'unico, era quel gran naso. Che però faticava, agli occhi di chiunque, a pesare nella sua economia di bellezza e non più di una volta anche Jasper aveva espresso a Haru il suo gradimento (avendo cura di usare con lui un tatto per lui quasi mai esistente). Era sempre trattata con modi squisiti da chiunque. Piaceva a tutti, anche se spesso segretamente. Questo il suo problema: essere cresciuta in un ambiente troppo ricco e ignorante. L'altro era farne parte. Avrebbe voluto essere anche lei priva di quel nasone (che ovviamente così “one” non era) e svuotata di quell'anima. Le donne ovviamente non erano spesso così leali e sincere con lei. Questo la fece soffrire sempre. Il suo profilo era, a detta di Haru, la più bella cosa del creato. Era di fronte che rendeva di meno. Tanto poco bella da far pensare che quasi non lo fosse. Quando perdeva le staffe poi, (sempre e solo per colpa di Jasper e solo una volta per colpa di una stronzata enunciata dal Lord riguardo al colonialismo inglese) diventava terribile, la pelle e i bellissimi e nerissimi capelli sembravano muoversi seguendo la sua emotività, e in quei momenti le andavano a coprire il volto da cui usciva solo il naso. No, neanche in quei momenti era brutta, era semplicemente una furia, un'altra cosa, non umana. Ma quando sorrideva…
Cosa ha fatto (o meglio farà) imparare questa ragazza a Haru? Quello che forse lei non ha fatto con sé, quello che aveva riservato solo alla madre: amarla.

La guardava continuamente. Lei aveva smesso anche di accorgersene. Non ammirava solo la bellezza, Guardarla è il mio preferito esercizio meditativo, diceva sempre a Jasper che era affascinato dall’apertura del socio/amico. La sua carnagione, se pur più scura degli inglesi, era decisamente chiara per essere un’indiana di cui conservava però tutte le caratteristiche razziali. Nulla nel suo volto era definito, non c’era stacco netto. Colori tenui che si perdono l’uno nell’altro. Le labbra, quel gruppetto di brufoli di un’acne tardiva, e addirittura l’iride degli occhi, nessun colore terminava con uno stacco netto. Adorava soprattutto guardarle il labbro superiore. Avrebbe voluto contemplare la graduale scomparsa del rosa delle labbra nel marroncino chiaro delle sue guance, per cogliere il cambiamento, per perdersi come guardando un cielo stellato. Come l’impossibile ricerca dell’attimo in cui si passa dalla veglia al sonno e viceversa.

Fu quella sera che l’osservazione lasciò posto all’azione. Fu grazie – bisogna dirlo, perché quando è giusto è giusto – ai continui piani malefici di Jasper. Quello Jasper che fece di tutto per organizzare la fine della serata in modo tale che Haru e Tamun rimanessero soli. Fu Jasper a far sì che la presenza di Tamun fosse necessaria, per motivi pressoché infiniti e prodotti dalla geniale mente di Jasper (e fu forse solo in quel momento che Haru ebbe la prova della genialità del suo socio), l’indomani mattina presto; tornare a casa si rivelò semplicemente impossibile visto che la ragazza abitava parecchio fuori Londra, la metro non passava più a quell’ora, la macchina di Jasper, guarda caso, era fuori uso così come gli altri invitati non avevano la patente o la macchina (cosa decisa da Jasper con un’occhiataccia al resto del gruppo) e quindi Tamun si trovava nella felicissima situazione di dover passare la nottata da Haru. Fu Jasper a sentir la puzza della verginità di Haru (verginità che imbarazzava più Jasper che Haru) e al contempo a percepire una risolutezza (nonostante la timidezza) nei modi di Tamun che avrebbe aiutato la timidezza di Haru. Fu quella l’unica volta in cui Jasper e Tamun si strizzarono l’occhio e rimase quello l’unico momento in cui l’odio di Tamun per Jasper si fece da parte. Fu quella notte, ma ancor di più la mattina successiva, che Haru notò quanto fossero aggraziati i suoi piccoli seni e anche la peluria delle sue braccia, più pelose delle sue. Fu quella notte che Haru scoprì come l’amore possa mutare i codici dei segni che compaiono nella vita umana. Fu quella notte che Haru scoprì come l’atto sessuale seppur ci faccia sembrare così simili agli animali nella sua meccanica (Haru non era spaventato dall’atto sessuale quanto più schifato, quasi inorridito) se ci si lascia andare e se accompagnato da un sentimento amoroso (Haru ormai conosceva la ragazza da due mesi di chiacchiere in cui la sua analisi scientifica era arrivata alla deduzione: sì, l’amo) diventa una danza primordiale. L’amore trasforma i suoi movimenti volgari in poesia. E approfittando di ciò, capendo questa metamorfosi semiotica, Haru si lasciò andare tastando l’esterno e interno del bronzeo corpo di Tamun senza preoccuparsi di rispetto, forma né tatto. Si rivelò un amante brutale, appassionato e dolce, non in quest’ordine, e Tamun esplose di gioia. Esplose più volte. E anche Haru. La bravura della coppia si vide però nel gestire tutto il “dopo” come la cosa più naturale del mondo. Si riappropriarono anche della loro timidezza, del loro essere introversi, nonostante Jasper.

*

Si conobbero ad un torneo challenger che si svolgeva in quel periodo dell’anno. Ma in realtà si osservarono più e più volte in tanti altri tornei di tennis. Haru amava passare durante la bella stagione molto tempo al circolo dove si giocano la maggior parte di quei tornei che fanno da preparazione a Wimbledon a studiare o a scrivere quel libro che mai avrà fine né pubblicherà. Il loro rapporto nacque dalla curiosità di vedere sempre la stessa persona, che si trattasse di una partita tra professionisti o un torneo non Atp come quello in cui per la prima volta si parlarono. Le loro posizioni sulle tribune, partita dopo partita, si avvicinavano sempre più fino a che videro ben quattro partite uno accanto all’altra. Haru non era un donnaiolo ed era sempre stato piuttosto introverso ma amava vestirsi bene e i suoi lineamenti giapponesi erano di quelli “belli” che vuol dire in “occidentalese” poco pronunciati, era quindi un ragazzo gradevole. E quindi poco per volta si trovarono a parlare e a conoscersi forzati quasi dalla contiguità di quelle sedie. I momenti di pausa di gioco o fra una partita e l’altra fecero sì che i primi sguardi timidi dei due futuri innamorati diventarono un balbettante discorso in cui si presentarono (Tamun è una giornalista sportiva alle prime armi e deve per lavoro osservare molte partite di tennis – sport che adora quanto Haru), discorso in cui Tamun azzardò addirittura un, Beh sì, spero di rivederti anch’io, non capita spesso di avere una compagnia maschile interessante – arrossendo immediatamente e rimpiangendo per questo motivo di non essere più scura come il sangue vorrebbe per celare meglio l’imbarazzo – . Discorsi in cui Haru parlò del suo progetto e di quel Jasper, difficile da sopportare (la stava forse preparando) ma in fondo buono. Quei momenti, e quei discorsi mutarono la percezione di Haru per “le cose del sesso” a tal punto da trovarsi, una volta a letto e nudo insieme a Tamun, a esplorare in modo quasi scientifico ogni meandro della sua vagina per eccesso di libido e per controllare forse che all’interno non ci fossero pericoli per il suo membro.
Tutto, tutto, ciò fece molto piacere a Tamun.

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