martedì 1 novembre 2016

12 Lap - Grembo






I live my life for you
Think all my thoughts with you
Anything you ask I do, for you
And only you
I touch your lips with mine
But in the end
I leave it to the lords
Leave it in the lap of the Gods
What more can I do
Leave it in the lap of the Gods
Laaaaap of the Goooods….

Cantavano in coro Haru e Jasper.
La canzone dei Queen scorreva come molte altre erano rimbalzate tra le mura dello scantinato/laboratorio di Haru mentre tra provette, centrifughe, misurini e fornelli i due giovani stavano ultimando la preparazione della ricetta definitiva della loro sostanza, della loro creazione.
Erano eccitati e sicuri di ciò che stavano facendo. Lavoravano in camice bianco allegramente cantando, ballando e fantasticando riguardo le potenzialità della sostanza, Pensa la miriadi di applicazioni in campo medico…nella psicoterapia, disse Haru, Pensa scopare nei sogni, disse Jasper.
What more can I doooooo???
Cantavano ancora. Per poi bloccarsi immediatamente. Haru si fece indietro allargando teatralmente le braccia e lasciando spazio a Jasper; era immobile come una statua mentre Jasper inclinava il proprio asse verso una provetta con un contagocce in mano, Ed eccole: gocce di estratto di genio jasperiano a dar vita…
È stata un’ottima idea Jasper.
…certo perché allo stesso tempo stabilizza e sballa.
Sballa?
Sì non preoccuparti, la tua camomilla continuerà a essere completamente atossica.
Camomilla? Non hai detto questo la prima volta che l’hai provata.
Puff…robetta. I nostri ultimi sogni sono le prove che questa ricetta è la definitiva. La tua idea, il tuo slancio, non lo nego, è stato geniale, ma la parvenza di lucidità inerte e inerme che avevi ottenuto sono niente rispetto al controllo che gli ho aggiunto. Prima eravamo svegli dentro un sogno, spettatori. Ora possiamo diventarne gli attori, i protagonisti, i registi, gli dei.
Non stai correndo troppo?   
Non hai detto questo così la prima volta che l’hai provata, rispose Jasper facendo l’occhiolino all’amico.

*

Sminchiocisteina, cazzinlculedrina, salfighina, mescola, gira gira cuoci togli…conta conta, e la nostra droga per il grembo degli dei è bell’e pronta.
Che coglione che sei, ma ti concentri davvero così?
Sì, sì sorellina…ma silenzio che sei di fronte a Dio nel bel mezzo della creazione, porta rispetto.
Hai aggiunto un piccolo tassello a una mia creazione e ne sei già diventato il Sommo creatore?
Piccolo tassello ma essenziale. La tua era una sostanza morta, io le ho dato vita…”Io solo sono riuscito a scoprire il segreto di infondere la vita, macché, anche di più: IO, PROPRIO IO, SONO DIVENUTO CAPACE DI RIANIMARE NUOVAMENTE LA MATERIA INANIMATA! SI PUO’ FARE!!! Aigor, diventeremo ricchi.
Che idiota! Ma non canterei vittoria troppo presto, occorrono altri test Dottor Frankestein.
Che palle che sei Aigor, che palle.

*
Presentazione di LAP all’ora del tè

Pochi giorni dopo.
Buonasera a tutti. Io e il mio socio abbiamo apportato le ultime modifiche alla sostanza che ci avete aiutati a testare. Sinteticamente non è cambiato un granché. Sembrerebbe più stabile e in questo modo le ripercussioni negative dell’inconscio dovrebbero essere di minor entità anche se questo aspetto, come ben avrete capito, è soggettivo e comunque il mondo dei sogni è appannaggio dell’inconscio e quindi una pacata accettazione è, a mio modesto parere, il modo migliore per affrontarlo/sopportarlo.
Disse Haru nel salotto di casa sua di fronte alle “cavie” che si mostravano molto interessate alle sue parole pur rivolgendo veloci sguardi preoccupati al socio di Haru che intanto, mentre ascoltava il discorso si fece stranamente silenzioso e pensieroso. A testa bassa grattandosi la nuca per poi alzare improvvisamente la testa come colto da una folgore, La sostanza sembrerebbe, la sostanza parrebbe, forse, anche se…la sostanza…insomma, miei piccoli topini da laboratorio, qui si parla di inconscio ma anche di piena realizzazione del razionale, far rientrare nel razionale ciò che prima non lo era... Comunque è vero, le “trappole dell’inconscio” nei sogni sono più “toste”. Tutto giusto, tutto corretto come sempre quando parla la mia sorellina del sol levante, ma aiutiamoci in qualche modo. Le parole sono importanti. Gli esseri umani hanno bisogno di certezze, di definizioni. Al diavolo i condizionali e al diavolo la “sostanza”, come la chiamiamo tutti o peggio ancora la “droga” come l’apostrofa il nostro anacronistico Lord – il Lord sbuffò annoiato mentre il professore indagò il volto di Haru con noia e disagio come a dire, Ci risiamo, e il resto degli invitati, delle cavie rimbalzava il proprio sguardo dal viso di Haru a quello di Jasper con eccitazione.
Sentite, sentite. Jasper va allo stereo e schiaccia play.
Ti prego, non le tue musiche da squilibrato.
Non ti preoccupare vecchio trombone, questa roba è in puro stile british come piace a te.
Nell’ampia sala della casa di Haru cominciarono a suonare in successione le due canzoni dei Queen che i due ragazzi ascoltavano mentre ultimavano la preparazione della sostanza: In the lap of the gods e In the lap of the gods…revisited.
Avete sentito? L’argomento è lo stesso ma le due canzoni sono molto diverse. Ma si parla di un grembo. Del grembo degli dei. La cacciata dall’eden, la mancanza del conforto. Il grembo è malinconia e godimento. La tana scalda ma eccita allo stesso tempo. LAP, ecco il nome della nostra creazione. Ascoltando queste canzoni è nata e da queste è giusto prendere ispirazione per darle un nome. È perfetto: LAP. In tutti i suoi significati, non convenite?
Jasper era in stato di grazia. Per nulla fastidioso e quasi alla ricerca di consensi. Ovviamente tutti sapevano bene che non gli interessassero consensi ma era comunque meglio dei soliti insulti e della sua pesante alterigia.
LAP: il grembo. Il mondo dei sogni è il nostro grembo, la nostra culla. Quello in cui ci troviamo, che ci accoglie e di cui possiamo diventare i padroni – sguardo dubbioso tra Haru e il professore.  LAP: il giro. Il controllo dei sogni ci fa compiere un giro attorno al nostro io, frequentando luoghi prima inaccessibili; ma questo significato è il meno indicativo e interessante. Sentite gli altri e approfittate della vastità delle mie conoscenze. Cazzo, Haru, Herr professor, Lord, dovreste essere voi ad avere spunti linguistici…ma se non mi muovo io qui non si fa altro che prendere polvere – sguardo tra i presenti, Ecco è tornato il vero Jasper –, ma andiamo avanti. LAP: leccare, lambire, bagnare. Insomma figlioli, devo spiegarvi io in che modo i significati di questa fantastica parola calzano alla perfezione con gli effetti che produce? Sentite lap, lap, lap…
Jasper andò avanti per diversi minuti a ripetere LAP, mimando sesso orale e dicendo quanto l’onomatopea della parola LAP rispecchiasse perfettamente l’atto di leccare. Nel mentre gli invitati avevano smesso di dargli attenzione e cominciarono a parlare tra loro. Nonostante i modi, Jasper aveva convinto tutti. La sostanza che tanto aveva attratto il loro interesse aveva finalmente un nome: LAP.

11 Scheletri - Tamun



Non ne parlava all’inizio e in questo era simile a tutti. Essere lucidi nei propri sogni è spesso imbarazzante o comunque una sensazione difficilmente condivisibile. Tamun non capiva i suoi sogni. Anzi, il suo sogno, poiché l’argomento sembrava essere sempre lo stesso: la sua cameretta e gli scheletri del cane che aveva posseduto e del cucciolo che non ebbe il tempo necessario per nascere. Tutto questo era ben chiaro. Era vero, lo aveva vissuto. Così come il suo periodo dark e la prematura morte del padre (fatto che la accomunava con Haru). Ma ciò che succedeva dopo? Quelle figure così sconosciute ma familiari?
Sogno dopo sogno quegli scheletri sembravano parlarle o forse era la sua vita a parlare con loro.
Quando cominciò a descrivere questi sogni, sollecitata dal gruppo dell’ora del tè, Haru capì che c’era qualcosa di cui non parlava.

Una mattina svegliandosi la trovò in lacrime. Le si avvicinò. Mutandine indaco, pelle leggermente ambrata e l’elegante seno che si affaccia, il prominente naso che, Haru lo aveva finalmente capito, era lì solo per ricordare quanto tutto il corpo di Tamun fosse meravigliosamente armonioso. Andò a consolarla, Perché non mi racconti qualcosa di più, è bello e utile condividere.
Tamun si girò e Haru si sorprese, erano lacrime di felicità. Prese in mano il foglio che la ragazza aveva appena finito di scrivere, raccolse al volo la penna sfuggitale di mano prima che cadesse (era la sua stilografica preferita) e chiese, E’ il tuo sogno?
No, è il racconto dei miei sogni.

*
Il sogno di Tamun

Era la sua cameretta. L’aveva sognata e ottenuta dopo tanti anni di lagnose richieste coi genitori. E darle quella notizia, cioè che avrebbe avuto la sua camera, fu l’ultima cosa che il padre le disse. Morì d’infarto pochi giorni dopo infatti. L’avrebbe ricordato sempre commossa. Si erano voluti bene, era stato come per molte bimbe, il suo primo amore. Aveva saputo della sua malattia quando era ormai abbastanza grande per capirlo. Il fratello ormai libero anche lui dalla compagnia fastidiosa della sorella minore non l’aiutò mai nella comprensione del lutto. I loro mondi andavano allontanandosi sempre più. Anche la madre non le giovò nel sopportare quella terribile esperienza, seppur comune a tante persone.
Fu da sola e nella sua nuova cameretta – il suo nuovo mondo – che imparò a crescere ma, quando finalmente si sentiva di aver accettato la vita nei suoi chiaroscuri, perse nel peggiore dei modi quello che al momento era il suo affetto principale. Morì infatti la sua cagnetta ancora prima di partorire il suo unico cucciolo.
Piombò in una depressione che i suoi quindici anni sembravano non sopportare. Anche la sua camera ne risentì. Coprì la zigrinatura del vetro con un piccolo plaid nero. Sparirono i poster delle boy band e comparvero quelle di gruppi con teschi tatuati e i cui cantanti erano morti suicidi o lì lì per suicidarsi. Il suo mondo aveva definitivamente perso quella nota verde che era passato dal chiaro della speranza allo scuro della consapevolezza ma comunque verde. Ora tutto è nero. Nera la sua porta, sempre chiusa a chiave, nera la sua tinta, il suo rossetto e le sue unghie. Bianca la sua faccia. Una cazzo di gotica sfigata, la etichettava il fratello che mal sopportava la teatralità dell’età lirica della sorella che faticava anche a comprendere essendo quattro anni più grande.
Ma quella uniforme nera la fece d’incanto smettere di soffrire. Si convinse che quel nero assorbisse il dolore.
Sentiva spesso però una forte ansia al pensiero degli scheletri di quei cani (cagna e piccolo) che sua madre e suo fratello avevano seppellito con la fretta di togliersi dalle scatole quel momento. Le stesse facce che ricordava dei genitori quando andarono a firmare dal notaio per la loro nuova casa. Un fastidio necessario; la stupida convinzione di riuscire a liberarsi della sofferenza in questo modo mentre lei avrebbe voluto onorare quelle morti e forse proprio per questo il motivo del suo abbigliamento: onorare il lutto. E lei piangeva e piangeva senza incontrare quel briciolo di tristezza che avrebbe reso credibile le forzate cure di madre e fratello. Quest’ultimo si era addirittura lasciato scappare un, Dai sono solo cani. Gli avrebbe sputato in faccia. 

*
Avevano seppellito mamma e cucciolo insieme dato che la cagna era morta prima di partorire un cucciolo a sua volta morto. Così staranno uniti per sempre.

*

Passarono settimane e forse anche parecchi mesi. La ragazza continuò la sua vita come una liceale qualsiasi. Prediligeva materie piuttosto che altre. Fumava spinelli ma solo per compagnia e partecipava senza fervore a molte manifestazioni studentesche. Aveva alcune amiche. Quelle poche ma buone che ti resteranno attaccate per sempre, come gli scheletri dei suoi cani, pensava. Ebbe un fidanzatino, ma durò poco rimanendo vergine. Conobbe poi l’amore, quello vero. Si dimenticò anche della sua verginità, dei suoi cani e pure di suo padre. Ma questa relazione durò anche meno.
Sua madre si era intanto risposata e il fratello era all’università e prometteva bene, dicevano tutti.
Un giorno, tornò di colpo ad essere in ansia per quei due scheletri incastrati l’uno nell’altro. Per l’indifferenza del fratello e la faccia idiota della madre. Quella madre che non era stata mai utile nell’affrontare i lutti della propria esistenza. Era semplicemente in imbarazzo a causa della sua inutilità. Non dovrebbe essere in questi momenti che i genitori dovrebbero svelare quei trucchi che servono per affrontare la vita?
Ma si convinse che non ci sono trucchi. Durante l’esistenza si capisce poco per volta che partecipiamo ad un concorso truccato. Nessuno vince. Tutti perdono. La maturità serve solo per imparare questa lezione. Una lezione che però non si può tramandare; una specie di maledizione.
Quegli scheletri erano tornati a chiamarla.
Le dava un fastidio enorme. Quando era più giovane questo pensiero la terrorizzava, ora si rodeva il fegato per sentirsi ancora così debole. Nonostante la sua corazza nera.

*

Una di quelle sere dopo alcuni fatti si persuase che mamma e cucciolo volessero stare insieme ma ognuno con l'indipendenza del proprio corpo.
Riesumò i corpi e rimase a lungo a guardare quelle ossa incastrate l’una con l’altra. E poi estrasse delicatamente ma con mano fredda e ferma il cucciolo dallo scheletro del bacino della madre. Finalmente era nato.

*

Passò tanto tempo e un giorno, ormai donna, decise per qualche motivo che non ricordava di allontanare i due scheletri. Prima in due contenitori diversi ma adiacenti poi in due camere diverse.

*

Passarono altri anni e LEI arrivò nuovamente.
Mancava da parecchio. Era un po' invecchiata. Ora era una bella donna. Due bimbi con lei. Maschietto e femminuccia: sono eccitati, non parlano, ma non hanno paura. La mamma apre un armadio indicando la figlia e dice qualcosa al figlio che immediatamente esce dalle camera indicando la vecchia mensola sopra il suo letto da bambina, in nostra direzione! Arrivano di corsa entrambi coi nostri scheletri e ci adagiano in una teca di vetro nuovamente vicini. Prima di uscire la mamma chiama i figli per far loro vedere come aprire la teca e tirarci fuori, nel caso...

In mezzo c'erano stati tradimenti, morte e dolori senza fine. Ma poi passa tutto e si scopre che è un po' quello che capita a tutti. E soprattutto che non ti tocca più. Appare tutto estraneo. La giovinezza.
Eccoli eccoli che tornano ancora, i suoi figli.  Allontanano e riuniscono i nostri due scheletri in una danza senza fine.

*
È finito, disse Tamun disperdendo le lacrime nel suo sorriso.
Scrivi molto bene, rispose Haru riuscendo a evitare di chiederle chi stesse parlando nel finale del suo sogno. Pensò che forse si era immedesimata nei due scheletri, che quei due scheletri impersonificassero loro; pensò che lei scrive, lei è un po’ artista, ma pensò soprattutto che fosse il caso di finire di pensare perché quando è con lei non serve o semplicemente può non farlo.